L’economia ischitana per secoli è stata prevalentemente agricola e l’allevamento degli animali per l'autoconsumo domestico era un aspetto decisivo per il sostentamento delle famiglie. Tra le specie allevate, il coniglio, sicuramente per la velocità dei tempi di riproduzione e accrescimento, era già nel 1500 l'animale più allevato nei poderi ischitani. Del resto, le prime tracce della presenza di conigli selvatici sull’isola d’Ischia risalgono addirittura all’epoca romana e, numerosissime nel corso dei secoli, soprattutto per mano degli Aragonesi e dei Borbone, furono le iniziative di ripopolamento del sottobosco ischitano, a garanzia del divertimento venatorio dei nobili regnanti sull'isola. Parallelamente alla caccia, tuttora praticata sull'isola (non senza polemiche) si diffuse l’allevamento del coniglio in delle profonde fosse, le cui pareti venivano poi rivestite con i caratteristici muri a secco (parracine) in tufo verde locale.
L'origine di questa particolare tecnica di allevamento può essere essere ricondotta ad una duplice esigenza degli allevatori ischitani: in primis, la necessità di avere “terra nuova” per migliorare la struttura e la resa dei terreni coltivati; in subordine, la (ri)creazione di un ambiente dove l'animale potesse vivere allo stato semibrado, senza perdere il suo istinto gregario-coloniale e crepuscolare.
Più in dettaglio, le pareti del fosso venivano rinforzate tranne in due punti alla base da dove si ricavavano dei cunicoli artificiali che venivano poi ultimati dai conigli stessi per ricavarne la tana. Ovviamente i cunicoli venivano scavati sul lato cieco della buca per evitare che gli animali potessero crearsi agevolmente delle vie di fuga. A lato poi della fossa veniva scavata una specie di grotta che fungeva da ricovero per gli animali.
L'alimentazione era esclusivamente naturale con la somministrazione giornaliera di graminacee, foglie e steli delle leguminose (fave sopratutto), residui di potatura dei vitigni e degli alberi da frutto.
La consuetudine all'allevamento dei conigli di cui oggi sono disponibili moltissime altre razze, rispetto al fenotipo Lepre, in origine il più utilizzato ad Ischia – è rimasta intatta nel tempo. Si stima che il consumo medio annuo di questo tipo di carne sia sull'isola di 40 kg pro capite, contro una media di 16 kg sul restante territorio nazionale. La tecnica di allevamento è invece cambiata. La fossa è stata soppiantata dall'allevamento in gabbia, abbinato all'utilizzo di mangimi industriali.
Oggi però in molti propugnano sull'isola un ritorno all'antica tecnica di allevamento del fosso, adducendo come ragione fondamentale la sua maggiore eco-compatibilità - utilizzo di prodotti naturali, maggiore benessere animale come indice di qualità del prodotto finito - rispetto all'allevamento in gabbia, di cui si riconosce la miglior resa quantitativa soltanto se però la produzione ha come fine la commercializzazione su larga scala.