Nell’ultima giornata (1 settembre 2012) dell’ormai collaudata manifestazione "Crateri in Festa", si è svolta una simpatica gara tra le contrade di Fiaiano (comune di Barano d’Ischia), Campagnano (Ischia) e Panza (comune di Forio) su come si prepara il coniglio all'ischitana.
Location della competizione, lo spiazzo di Fondo d’Oglio, sul Monte Rotaro (Casamicciola Terme) dove tre squadre di "agguerritissime" cuoche si sono sfidate nella preparazione dei conigli da sottoporre poi al giudizio della giuria, presieduta dal primo cittadino di Casamicciola Terme.
L’organizzazione di tutta la manifestazione è stata impeccabile: mentre le contrade preparavano ciascuna la propria versione del piatto principe della gastronomia ischitana, dietro un bel bancone realizzato con tavolacci di legno, un folto numero di volontari ha distribuito agli accorsi salsicce, insalata contadina, melenzane a funghetti, vino e, soprattutto, pennette al sugo di coniglio. In contemporanea, nello spiazzo è andato in scena il folcloristico ballo della ‘ndrezzata di Buonopane (Barano d’Ischia), anche questa un’antichissima usanza dalle origini remote e non del tutto chiarite.
Ma veniamo alle ricette. Partiamo subito col dire che a detta degli esperti, sull’isola, le varianti sul tema in fatto di coniglio sarebbero addirittura più di trenta, per cui dare conto di tutte le differenze è sicuramente operazione improba.
Arbitrariamente, da quel che si è avuto modo di capire carpendo qua e là i segreti dei protagonisti, le scuole di pensiero possono essere ridotte a due: da un lato, una ricetta più elaborata che, grosso modo (i confini sono puramente indicativi!), coincide con i comuni di Forio e Serrara Fontana; dall’altro, una ricetta che si rifà al procedimento classico della "cacciatora" coincidente con i comuni di Ischia, Casamicciola Terme, Lacco Ameno e Barano d'Ischia.
Le differenze ruotano attorno a due aspetti fondamentali. Il primo, riguarda l’uso delle erbe aromatiche (prezzemolo, basilico, maggiorana, timo o "peperna"): usate in abbondanza nella versione "panzese" del coniglio, meno, con preferenza per basilico e prezzemolo, nella versione "ischitana".
Il secondo, la cottura delle carni: nella prima versione, vengono fatte rosolare prima con olio di semi di arachidi (a fiamma vivace) in una padella di alluminio e, successivamente, dopo averle asciugate con carta assorbente, passate in un tegame di creta (u’ tiane), dove si provvede al delicato lavoro di condimento. Nella versione ischitana, invece, questo doppio passaggio non c'è e la cottura dell’animale avviene nel solo tegame di creta, in una padella di alluminio o, in versioni più ricercate, in una padella di rame.
Detto delle differenze, passiamo alle analogie. Innanzitutto la successione con cui si cuociono i pezzi: prima le cosce di dietro, poi quelle davanti, poi i mezzi di mezzo, quindi le costole, le spalle che sorreggono il collo, la testa divisa a metà (fondamentale per la riuscita dell’intingolo) ed infine, il fegato e le interiora.
Attenzione: nella versione "panzese" che prevede la doppia cottura, il fegato va inserito solo alla fine nel tegame di creta, quindi nel secondo passaggio, pena l’indurimento eccessivo di questa parte dell’animale. La seconda rosolatura avviene in questo caso con l’aggiunta nel tegame di olio extra-vergine di oliva (ca. mezzo bicchiere per coniglio), che è invece l’unico ad essere impiegato nella procedimento all’ischitana (talvolta con l'aggiunta di sugna).
Altro elemento fondamentale è l’aglio: in ambo i casi viene generalmente soffritta un'intera testina non sbucciata (in camicia). Nel corso della cottura poi vengono aggiunti altri spicchi, stavolta sbattuti ma sempre con la pellicola.
Una volta che i pezzi dell’animale sono rosolati per bene da ambo i lati si procede al condimento. Qui le differenze sono più evidenti: nella versione "foriana", "panzese", "serrarese", sud-occidentale, mettetela come vi pare, si aggiungono pochi pomodorini (ca. 5) per animale, peperoncino forte e sale q.b. . Nell’altra versione, alla "cacciatora", "ischitana", nord-orientale, anche qui come più aggrada, l’aggiunta di pomodoro è più copiosa, talvolta con l’ausilio di "concentrato". Una volta che si è proceduto al condimento (ca.10 minuti) si aggiunge del vino bianco, di preferenza locale (ca. 2 bicchieri di vino per animale), badando però alla gradualità di questa operazione (mezzo bicchiere per volta) perchè, se da un lato, è bene alzare un pò la fiamma per favorire la sfumatura del vino, dall’altro, bisogna fare attenzione a non fare sfilacciare eccessivamente le carni.
Sfumato il vino (ca.10 minuti) si aggiungono le spezie e si lascia cuocere il coniglio (ca. un’ora) senza mai coprire la padella o il tegame, e monitorando di tanto in tanto la cremosità e la densità del sugo. Qualcuno per evitare che si asciughi troppo aggiunge qualche mestolo di acqua di cottura della pasta (bucatini o, in alternativa, penne lisce), anche se in molti evidenziano la pericolosità di questo passaggio, rischioso per l’equilibrio finale del sugo.
Naturalmente, fermo restando le peculiarità delle diverse contrade, quello che realmente fa la differenza sono le materie prime impiegate.
Innanzitutto il coniglio, che deve avere una pezzatura non superiore al Kg.1,2 e che, se di casa, deve essere macellato almeno un giorno prima (alcuni sostengono due giorni), appeso ad un gancio per liberarlo dal sangue residuo ed infine riposto in frigo per favorire il rassodamento delle carni. Altro fattore decisivo è senza dubbio il vino: di preferenza vengono utilizzati il biancolella o il forastera (anche invecchiati), ma vanno bene anche vini non indigeni, purchè ovviamente non si tratti di prodotti discount. Da ultimo, ma solo per esigenze espositive, i prodotti dell’orto: insomma, fa molta differenza utilizzare aglio, pomodorini o spezie di produzione italiana, meglio ancora se a Km 0, piuttosto che d’importazione.
Per inciso, e non poteva essere diversamente, la gara è terminata "ex aequo".