Lo storico locale Giuseppe D’Ascia, autore della monumentale "Storia dell’isola d’Ischia" (1864) così si esprimeva a proposito di Serrara Fontana:
"Le donne seguono le stesse industrie e mestieri de’ padri, de’ mariti, e de’ fratelli, oltre quelli domestici; per cui mentre le Fontanese zappano e potano i vigneti, mischiate alla ciurma maschile; le Santangiolese e Socchivese maneggiano il remo, la rete, l’amo, colla stessa facilità della conocchia e del fuso, e su i gozzi pescano lunghesso le rive de’ Maronti, la punta di Succellaro o la Cala della Scannella; mentre le Serrarese seminano i legumi, formano le biche sulle aie con i covoni di grano, raccolgono i chicci caduti sul terreno, o rimasti nelle buccie e ne tolgono le pule; le Calimeiese e le Noiane conducono il gregge al pascolo, mungono le pecore, dividono i capretti dagli agnelli, e bollono i latticini, e preparano i formaggi nelle fiscelle".
Vent’anni dopo sarà il professor Kaden Woldemar, docente di Lingua e Letteratura tedesca a Napoli, a dire la sua sulle donne di Serrara Fontana, in particolare sul loro oscuro dialetto, assai diverso da quello parlato nei comuni a nord dell’isola d’Ischia. Così, il linguista tedesco nel saggio "L'Isola d’Ischia nei suoi aspetti naturali, topografici e storici del passato e del presente" (1883):
"Sarà difficile, però, intrattenersi con loro anche per chi ha imparato l’italiano con un maestro fiorentino, con le migliori grammatiche e con metodi efficaci, perché tutte parlano nel dialetto più oscuro, mescolato con una gran quantità di lemmi antichi, greci, latini, spagnoli e di altri sostrati linguistici. L’isola è divisa in sette comuni (Testaccio era comune a sé) e si possono distinguere sette dialetti. Si capiscono più facilmente i dialetti di Lacco Ameno, di Casamicciola o di Ischia, cioè le località sul lato settentrionale, aperto, frequentato, dell’isola. Sul lato meridionale e nelle località di contadini situate in alto anche l’italiano dell’Italia centrale si sente perduto, qui viene offerto un lessico ignoto".
A distanza di oltre un secolo, potremmo scherzosamente suggerire a chi è intenzionato ad approfondire storia, cultura e tradizioni dell’isola d’Ischia di non dover fare altro che conoscere un cittadino di Serrara Fontana. Meglio ancora le Calimeiese e le Noiane, come le chiama D’Ascia, residenti di due antichissimi borghi già abitati nel VI e V sec. a. C.
E infatti i lemmi di "Calimera" e "Noia" tradiscono la loro comune origine greca: Calimera deriverebbe dal greco "Καλημερα" che significa "buon giorno". Noia da "ανωγεων" ("a no gheon") che sta per "parte alta".
Come Anogeia ("Ανωγεια" in greco) uno dei due comuni dell’isola di Creta senza sbocchi sul mare. La differenza è che Noia, sull’isola d’Ischia, lo sbocco sul mare ce l’ha eccome. Il mare è quello dei Maronti e vi si arriva percorrendo Via Casale, la strada dei famosi Pizzi Bianchi che arriva fino al bacino idrotermale di Cavascura. Se la toponomastica è greca, lo spettacolo dei Pizzi Bianchi rimanda invece agli ambienti della Cappadocia in Turchia. Un itinerario bellissimo che svela tra l'altro la prevalente identità contadina dell’isola più grande del Golfo di Napoli.
Identità confermata pure dalle stradine anguste e irte di questi due borghi di Serrara e Fontana. L’architettura invece è quella mediterranea delle abitazioni dipinte a calce, degli archi e delle edicole votive.
La Strada provinciale che conduce al piccolo borgo di Calimera si trova affianco il cimitero di Serrara Fontana. Molto suggestiva da percorrere anche la poco distante Via Lorenzo Fiore, la strada interna che conduce alla Congrega dell’Immacolata e, di lì, alla chiesa Santa Maria del Carmine sul Belvedere di Serrara.
Noia si trova poco più sopra del cimitero, nella frazione di Fontana, in via Pompeo Trofa, ben visibile dalla strada per la presenza di un presidio del Servizio Ambulanze della Croce Rosa Italiana.