C’è chi pronuncia e scrive "Sgarrupata" invece di "Scarrupata". Questione per cultori della lingua napoletana anche se, va detto, l'enciclopedia Treccani autorizza entrambe le forme, segnalando che la seconda (quella con la "c") è più antica, mentre la prima è più diffusa, di uso corrente anche nella lingua nazionale.
Il significato rimanda a qualcosa di rovinato, cadente, irrecuperabile. Nel caso della Sgarrupata di Barano è una fortuna, non una constatazione amara. Una fortuna, perché la difficile accessibilità di questo tratto di costa che termina con una bella e suggestiva spiaggia di ciottoli ha consentito, almeno in parte, di preservare l’area da appetiti immobiliari e turistici.
La località è rimasta straordinariamente simile a quella descritta da Truman Capote nel suo soggiorno a Ischia: quattro mesi nell’estate del 1949 con alloggio presso la Pensione Di Lustro, proprio all’ingresso di Forio.
Queste le parole dello scrittore di "A Colazione da Tiffany" e "A sangue freddo":
"Il sentiero corre su rocce vulcaniche che scendono a picco; ci sono tratti in cui è meglio chiudere gli occhi: sarebbe una caduta spaventosa, e gli scogli sottostanti sembrano dinosauri in letargo. Un giorno camminando fra le rocce, trovammo un papavero, poi un altro; crescevano isolati fra le pietre scure, come campanelli cinesi infilati su una cordicella tesa. Seguendo le tracce dei papaveri arrivammo ad una strana spiaggia nascosta. Era chiusa tra gli scogli e l’acqua era così chiara che si potevano scorgere le alghe marine e i movimenti guizzanti dei pesci; non lontano dalla riva, roccioni piatti e levigati sembravano zattere natanti e noi passammo dall’uno all’altro; sdraiandoci al sole, ci volgemmo a guardare gli scogli, e vedemmo anche i verdi filari di viti e la montagna incappucciata dalle nuvole. In una roccia il mare aveva scavato un sedile, ed era bellissimo mettersi là e lasciarsi investire dalle onde".
(Truman Capote, I cani abbaiano, Garzanti Elefanti, pagg. 78-79).
In effetti, l’itinerario della Sgarrupata di Barano è uno dei più spettacolari dell’isola d’Ischia. Non solo dal punto di vista paesaggistico-ambientale, ma anche per le successioni piroclastiche delle rocce che disegnano il costone, vera e propria mappa geologica delle diverse eruzioni che nei millenni hanno determinato la morfologia dell’isola d’Ischia. Prima il tufo bianco; poi il tufo giallo e le rocce ignimbritiche (le pietre scure di cui parla Capote) infine, il caratteristico tufo verde del Monte Epomeo, prova regina della simbiosi tra mare, terra e fuoco da cui è scaturita l’isola più grande del Golfo di Napoli.
La strada per arrivarci è la stessa del sentiero del Santuario che dal Vatoliere, frazione del comune di Barano conduce alla chiesa della Madonna di Montevergine, in località Schiappone. Prima di addentrarsi nel bosco c’è una croce di ferro e sulla destra un cancello con le indicazioni per un ristorante sul mare. Il ristorante e il mare sono quelli della Sgarrupata, luogo magico dell’isola d’Ischia cui si accede da una ripida scalinata in pietra, decisamente sconsigliata per chi soffre di vertigini.
C’è però una comoda alternativa. I taxi boat della cooperativa barcaioli San Michele che stazionano nel porto di Sant’Angelo in estate fanno giornalmente la spola con la Sgarrupata, la baia di San Pancrazio e la spiaggia dei Maronti.
Bellissime poi le prime ore del giorno. Fermi in barca, cullati dal silenzio e la quiete dell'insenatura, può capitare di incontrare branchi di delfini che si spingono fin sotto costa nel mare cristallino della Sgarrupata e dell’isola d’Ischia.
Provare per credere!